American Gods (Neil Gaiman)



Gli dei nascono dalla fede che le persone hanno in loro. Questo principio viene preso alla lettera in questo libro dove dei, leggende, folletti ed altre amenità camminano sul suolo americano nell'apparente indifferenza generale.
Avevo già avuto modo di leggere Gaiman, sia come fumettista (Sandman) che come autore di romanzi (Nessundove) e devo dire che almeno inizialmente questa storia mi ha esaltato.
In quale altro libro può accadere che il protagonista esca di galera e sia coercitivamente ingaggiato da Odino (si proprio il dio) come guardia del corpo?
Sul suolo americano, territorio intrinsecamente poco propenso alla fede negli dei si trovano a fronteggiarsi due opposte fazioni, i vecchi dei e quelli nuovi legati alla tecnologia ed al progresso. Il protagonista ne combina di tutti i colori (e incontra personaggi assurdi come gli impresari di pompe funebri Ibis e Jaquel, in realtà gli dei egizi Toth e Anubi) mentre si sposta da un punto all'altro di una america visionaria come una pallina da flipper.
A mio avviso la trama dopo il primo terzo di libro si perde un po', forse anche per l'inconsistenza del confronto tra dei millenari facilmente descrivibili e ricchi di sfumature e gli sfuggenti dei moderni dei quali la sola Media appare convincente.
Personalmente sento di consigliare questa lettura solo a chi è realmente disposto a leggere un libro in cui la definizione di assurdo viene di continuo spostata e dove la coerenza non è condizione necessaria.
Tra le infinite citazioni di questo libro che forzatamente attinge dalla mitologia come non notare le frottole raccontate da Hinzelmann riprese pari pari da un "mito" della letteratura dell'iperbole quale il Barone di Munchausen.

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